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La storia di Promise, vittima di tratta assistita dall'OIM

La storia di Promise, vittima di tratta assistita dall'OIM

 

Il canto dei grilli risuona in modo assordante lungo la strada. La temperatura è di oltre 40 gradi, l’asfalto quasi si scioglie sotto le scarpe. Non ci sono passanti che osano sfidare la calura estiva – tipica di un pomeriggio di metà agosto in Sicilia - e anche le macchine sono rare a quest’ora. Promise* cammina su e giù per questa strada già da un paio d’ore, con addosso una parrucca rossa che le soffoca i pensieri e non la fa respirare. È piegata dalla fatica, comincia ad avere giramenti di testa. Proprio quando pensa di non poter più continuare, ecco che arriva una macchina della polizia italiana: gli ufficiali si accorgono di lei, capiscono che c’è qualcosa che non va e decidono di portarla in commissariato.

Sprovvista di documenti, la ragazza dice di avere 21 anni e di voler raggiungere la sorella che abita in città. Da un controllo emerge invece che ha 17 anni. è nigeriana ed è arrivata in Italia via mare 5 mesi prima. 

Contattato dalle autorità, il personale dell’OIM si occupa subito di trovare un alloggio per la ragazza presso una comunità per minori. Qualche giorno dopo la giovane, dapprima restia ad aprirsi, comincia a fidarsi. Racconta la sua storia e, una volta aperto il cuore, le parole escono fuori come un fiume in piena.

“E’ vero, ho 17 anni. Sono venuta in Italia perché mi avevano promesso un lavoro da parrucchiera. Appena arrivata ho chiamato la donna nigeriana che doveva impiegarmi nel suo salone. Niente di tutto questo. La promessa di un lavoro era un imbroglio: mi hanno costretto subito a prostituirmi, per saldare il debito contratto col viaggio, che non avevo pagato.”

L’operatrice dell’OIM che ascolta la storia non rimane stupita, purtroppo si tratta di una dinamica di sfruttamento molto comune. Ascoltare Promise però non può lasciarla indifferente: “La ragazza, che non aveva mai avuto rapporti sessuali prima di partire dal suo paese, è stata costretta a prostituirsi per strada per 12 ore al giorno e ha anche paura di essersi ammalata”, ci racconta. “Come spesso capita, è stata sottoposta a rito vodoo e la madame conosce la sua famiglia. L’abbiamo incontrata ogni giorno per un mese. All’inizio non riusciva a dormire, credeva di morire a causa del voodoo e spesso, di notte, annodava le lenzuola per calarsi dal primo piano del palazzo e scappare. A volte invece preparava la valigia e si bloccava davanti alla porta. Ogni volta, però, la paura di tornare sulla strada è stata più forte di tutto. Dopo alcune settimane ha deciso di sporgere denuncia contro i trafficanti. Nonostante le pesanti minacce subite dai suoi parenti in Nigeria, Promise ha avuto il loro supporto. Oggi vive in una struttura protetta, lontana dalla Sicilia, parla perfettamente italiano e studia per diventare mediatrice culturale.”

Quello di Promise è un destino comune a molte nigeriane che sbarcano in Italia. Secondo i team anti-tratta dell’OIM l’80 % delle donne nigeriane che arrivano attraverso la Libia sono vittime di tratta per sfruttamento sessuale. E tra di loro è in aumento il numero di ragazze sempre più giovani. Minorenni che, su consiglio dei trafficanti, raccontano di essere maggiorenni per evitare di essere trasferite in centri per minori, da dove è più difficile fuggire per poi poter andare a lavorare per strada.

“I minori sono i soggetti più vulnerabili tra coloro che arrivano via mare”, spiega Federico Soda, Direttore dell’Ufficio di Coordinamento OIM per il Mediterraneo. “Oltre alle vittime di tratta ci sono tante altre storie drammatiche. E’ di due settimane fa, ad esempio, la notizia del salvataggio di una bambina di soli 15 mesi, la cui mamma è morta in mare, durante la traversata. Sono anche molti i minori che ci raccontano di essere partiti e di avere lasciato i genitori in Libia. Non avendo abbastanza soldi per poter partire tutti insieme, a volte le mamme mandano avanti i figli, per poter risparmiare loro un’ulteriore permanenza in un paese dove purtroppo i migranti sono oggetto di violenze e abusi.”

I minori non accompagnati arrivati via mare nel 2016 sono stati 25.846, contro i 12.360 dell’anno precedente. Un fenomeno percentualmente molto più in crescita dell’aumento degli arrivi registrato nell’ultimo anno. Molti dei minori sono adolescenti, alcuni arrivati in Libia per trovare un lavoro in loco, altri che invece sin dall’inizio vogliono andare in Europa. Tutti cadono nella spirale di violenza e abusi di cui sono vittime i migranti nel paese. E anche chi inizialmente non voleva venire in Europa, vede nella traversata l’unica via di sopravvivenza. E poi ci sono le ragazze vittime di tratta, il cui destino di sfruttamento è già deciso nel paese di origine, manipolate psicologicamente e poi “scortate” in Italia per poter essere mandate a prostituirsi.

L’OIM si occupa di minori con programmi appositi, dall’assistenza legale allo sbarco, all’assistenza alle vittime di tratta (minorenni e maggiorenni) e alla realizzazione di interventi presso alcune strutture per minori.  Si tratta di un lavoro difficile e impegnativo. Sempre alla ricerca di una soluzione per ragazzi o bambini vulnerabili che, alla loro età, dovrebbero andare a scuola e vivere una vita spensierata e piena di speranze. La morte, nella mente di un bambino europeo, molto spesso ancora non esiste: ci sono solo divertimento, senso di scoperta e attesa del futuro. La morte, per un bambino africano, è invece presente e reale. E, guardando le statistiche dei migranti dispersi in mare, è troppo spesso anche destino.

(Flavio Di Giacomo)

 

*Il nome e alcuni riferimenti personali della migrante di cui si racconta la storia in questo articolo sono stati cambiati per tutelare la sua riservatezza